Ponte sullo Stretto. Un affare per mafiosi e reduci di Tangentopoli

La costruzione del Ponte sullo Stretto, il problema dell'immigrazione, della crisi libica e molto altro ancora. E' un fiume in piena Antonio Mazzeo, scrittore, giornalista e attivista sociale noto per le sue campagne contro la guerra e le mafie. Nell'intervista rilasciata al nostro giornale affronta diverse tematiche con la lucidità consona di chi ha una conoscenza vasta sull'argomento (vedi Ponte sullo Stretto) e chi possiede il coraggio di denunciare il malaffare insito in tanti progetti poco chiari avviati dalla politica italiana.

Il tuo attivismo nel mondo dell'antimilitarismo e della pace nel mondo è noto a tutti gli addetti ai lavori. Quando nasce questo impegno?

Le atroci immagini del Vietnam e dei conflitti che nel continente africano condannavano alla morte per fame milioni di innocenti, le cronache dei golpe e delle violazioni dei diritti umani in America latina, hanno segnato profondamente la mia adolescenza, ponendomi di fronte agli interrogativi sull'essenza stessa della guerra e dell'ingiustizia, sino a prendere pienamente coscienza che ognuno di noi è chiamato a lottare contro ogni forma di violenza sull'uomo e sull'ambiente, contro le discriminazioni politiche e sociali, le spese militari. Da qui la scelta a 18 anni di dichiararmi obiettore di coscienza e chiedere il riconoscimento al servizio civile alternativo a quello militare. Poi, nell'estate 1981, arrivò la decisione del governo italiano d'installare a Comiso (Ragusa) i 112 missili Cruise del piano di riarmo nucleare della NATO.

Si sviluppò un forte movimento pacifista in Sicilia e nel resto d'Europa ed io sentii il dovere di prenderne parte, dedicando tutto me stesso. Sono stato tra i fondatori del Comitato per la pace e il disarmo unilaterale di Messina e nel luglio 1982 decisi di trasferirmi a Comiso e contribuire a dar vita, accanto a centinaia di giovani di tutto il mondo, alla straordinaria esperienza del Campo Internazionale per la pace. Furono organizzate partecipate manifestazioni di opposizione nonviolenta e di blocco dei lavori della costruzione della base missilistica. Quindici mesi di ininterrotta presenza, di splendide relazioni umane, di crescita personale e politica che cambiarono per sempre la mia vita. Anni straordinari, ripeto, a cui devo tutto, compreso il mio amore per la scrittura e la denuncia giornalistica, compresa una maggiore conoscenza dei poteri criminali e del loro ruolo nell'economia e nella società siciliana.

Come reputi l'affare del Ponte sullo Stretto, argomento di cui sei fine conoscitore?

Beh hai detto bene, "un affare", ma per pochi intimi, i soliti noti: faccendieri, trafficanti, progettisti, holding finanziarie, qualche banca, politici bipartisan della prima e seconda repubblica, i graziati di Tangentopoli e l'immancabile corte di mafiosi di piccolo e grande calibro. Per i contribuenti e le popolazioni dello Stretto solo un enorme esborso di risorse finanziarie e una immensa tragedia socio-ambientale.

"I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina" è il titolo della tua ultima opera. Cosa ci vuoi comunicare attraverso il tuo saggio?

Che l'idea stessa del Ponte è stata partorita da Padrini ben identificabili e non sempre e solo direttamente affiliati a Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Umberto Santino, presidente del Centro Impastato di Palermo (che ha curato la prefazione del volume) spiega perfettamente l'identità di questi Signori: rappresentano la borghesia mafiosa, la classe sociale che impone il modello neoliberista, criminale e criminogeno, delle Grandi Opere, dei saccheggi delle risorse naturali e del depauperamento delle risorse economiche pubbliche.

Mineo e il "Villaggio della Solidarietà" frutto della crisi libica. Che idea ti sei fatto di questo intervento governativo?

Il governo Berlusconi ha replicato in ambito migrazioni e diritto d'asilo il modello emergenziale che ha caratterizzato l'intervento sui rifiuti in Campania o quello per il terremoto e la ricostruzione mai avviata a L'Aquila. Si è creata ad arte la paura, l' "invasione" per giustificare provvedimenti profondamente liberticidi che violano la Costituzione e il diritto internazionale, come la deportazione e la reclusione in un villaggio a "quattro stelle", in pieno deserto, di duemila richiedenti asilo. Uomini e donne in carne ossa fuggiti a guerre immani che vivono in Italia da tempo in attesa che sia loro riconosciuto il diritto alla protezione e che avevano intrapreso un processo di inserimento in realtà concretamente solidali. Il tutto con l'ennesimo trasferimento di ingenti risorse finanziarie dallo Stato ai privati, prima fra tutte la società di costruzioni proprietaria del residence di Mineo, rimasto vuoto dopo la fuga dei militari statunitensi di Sigonella, insoddisfatti dei servizi e della qualità della vita nell'area. E' un business per chi si arricchisce sulla pelle e la reclusione forzata dei migranti, mi riferisco alle associazioni di "volontariato" che non hanno remore morali a gestire i famigerati Cpt, oggi CIE, "centri di reclusione e identificazione".

La "ricetta" sociale e politica di Antonio Mazzeo per una Sicilia migliore.

Ritrovare il gusto, il piacere della partecipazione in prima persona, il rifiuto delle deleghe in bianco ai potenti di turno, la speranza che insieme è possibile ancora imporre trasformazioni sociali, politiche, economiche. La Sicilia è a un bivio: o accentuerà il suo ruolo di portaerei per le guerre in Africa e Medio oriente e di grande ghetto per chi esercita il diritto di fuga dalle tragedie che insanguinano queste aree geografiche, o si convertirà in ponte di dialogo e pace dei popoli del Mediterraneo. Le spinte verso la prima direzione sono potentissime, appaiono onestamente vincenti. Ma possiamo ancora farcela, anzi dobbiamo farcela, ad invertire questo processo. È in gioco la nostra vita e quella dei nostri figli.


Intervista di Mirko Tomasino pubblicata in Siciliamediaweb.it il 13 aprile 2011

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