The Coca Cola Crimes

Coca Cola e paramilitarismo ovverosia come la transnazionale delle bollicine regola i conflitti sindacali in Colombia. Assassinii, sequestri e sparizioni eseguiti dagli squadroni della morte a danno dei lavoratori delle società d’imbottigliamento della soft drink che ha conquistato il mondo.
agosto 2001

“La nostra organizzazione sindacale è stata dimezzata dalla intimidazione, dal sequestro, dalla detenzione, dalla tortura e dall’omicidio di numerosi leader da parte delle forze paramilitari che hanno agito nell’interesse delle grandi imprese che operano in Colombia, come la Coca Cola e la ‘Panamerican Beverages-Panamco’”. Si apre così la denuncia presentata negli Stati Uniti dal sindacato colombiano “Sinaltrainal”, contro il colosso mondiale delle soft drinks e la loro maggiore societá imbottigliatrice in America Latina. “I manager degli impianti di imbottigliamento della Coca Cola in Colombia hanno contrattato gruppi paramilitari per reprimere l’attività dei leader sindacali. Non ci sono dubbi che la transnazionale di Atlanta ha tratto vantaggio dalla repressione sistematica dei diritti sindacali e che non ha protetto debitamente i lavoratori colombiani dagli atti di persecuzione”, prosegue il testo della denuncia depositata lo scorso 20 luglio dai legali della “Sinaltrainal” e dalla centrale sindacale Usa “United Steelworkers of America” presso la Corte Distrettuale della Florida. 

“Sinaltrainal”, struttura a cui aderiscono oltre 4.000 dipendenti dei maggiori complessi industriali del settore alimentare, punta il dito oltre che sulla Coca Cola e la Panamco, anche su altre importanti multinazionali, come la ‘Nestlé’ e la ‘Cicolac’. Nelle aziende di proprietà di questi gruppi si è verificata nell’ultimo decennio un’impressionante sequela di omicidi selettivi, sequestri e sparizioni di sindacalisti e operai, eseguiti dagli squadroni della morte di estrema destra, crimini rimasti del tutto impuniti grazie alle coperture e alla collaborazione di ampi settori delle forze di sicurezza statali.

Undici i dirigenti e gli attivisti assassinati (5 quelli dipendenti dalle societá imbottigliatrici della Coca Cola), 6 quelli miracolosamente sopravvissuti ad attentati dinamitardi, 5 i leader sindacali che a seguito delle gravi minacce subite dai paramilitari sono stati costretti a dimettersi dalla “Panamco” e a rifugiarsi all’estero.

Numerosi i dipendenti colombiani della Coca Cola vittima di persecuzioni da parte di organi giudiziari e di polizia dello Stato colombiano, ingiustamente accusati di legami con il terrorismo o con le organizzazioni della guerriglia;  tra essi 12 leader sindacali sono stati detenuti illegalmente per periodi piú o meno lunghi a partire dal 1984. A seguito delle campagne di repressione eseguite dalle forze armate nella regione settentrionale dell’Urabá (dipartimento di Antioquia), nel 1985, 17 operai dell’impianto di imbottigliamento della Coca Cola del municipio di Carepa, hanno dovuto abbandonare il lavoro per sfollare insieme ai propri familiari verso altre cittadine  della regione. Nel 1996, un gruppo paramilitare ha fatto irruzione nello stesso impianto di Carepa, costringendo 70 operai a rassegnare le porprie dimissioni dal sindacato. Successivamente due lavoratori sono stati assassinati, altri due dipendenti sono stati vittime di attentati e l’ufficio locale di “Sinaltrainal” è stato devastato e incendiato durante un blitz paramilitare.

A Bucaramanga (capoluogo del dipartimento di Santander), sempre nel 1996, la sede della cooperativa dei lavoratori della Coca Cola “Cooincoproco”, è stata oggetto di due raid da parte dei corpi speciali della polizia, alla ricerca – inutile – di armi ed esplosivi. Nel 1997 la “Cooincoproco” e l’abitazione del leader sindacale e dipendente della Coca Cola, Alfredo Porras, sono stati devastati da un nuovo raid degli uomini della 5^ brigata dell’esercito colombiano. “Sinaltrainal” ha denunciato altresì come i propri attivisti siano costantemente oggetto di pedinamenti e intercettazioni telefoniche illegali, e come le imprese imbottigliatrici della Coca Cola abbiano ripetutamente violato accordi collettivi e diritti sindacali, chiudendo arbitrariamente i propri impianti e licenziando i lavoratori senza giusta causa.

“Le imprese transnazionali come la Coca Cola e la ‘Nestlé’, impediscono in Colombia il libero esercizio sindacale” aggiunge ‘Sinaltrainal’. “All’interno delle fabbriche gli operai vivono in un clima di repressione, controllati a vista da videocamere e personale armato. È sufficiente partecipare a una riunione sindacale per ricevere la notifica di licenziamento e, se il lavoratore la impugna, è costretto a fare i conti direttamente con le minacce dei capi della sicurezza, pagati dall’impresa”. Il gravissimo clima d’intimidazione vissuto nelle fabbriche ha avuto come effetto l’indebolimento della centrale sindacale, che ha visto negli ultimi due anni il dimezzamento dei propri iscritti, in un paese, dove appena il 3% dei lavoratori esercita il proprio diritto di affiliazione sindacale e dove negli ultimi 15 anni sono stati assassinati oltre 3.800 tra dirigenti e iscritti della CUT, la Centrale Unitaria dei Lavoratori della Colombia.

La Panamco di Colombia alla conquista della Coppa America

“Neghiamo ogni tipo di vincolo con  qualsiasi violazione dei diritti umani” ha immediatamente commentato l’Ufficio degli Affari Internazionali della Coca Cola da Atlanta, respingendo  le accuse delle centrali sindacali colombo-statunitense. “Le imbottigliatrici in Colombia sono compagnie del tutto indipendenti dalla Coca Cola e per tanto la  Compagnia non ha a che vedere con i suoi dipendenti o sindacati”. Una smentita che tuttavia non trova riscontri oggettivi nell’organigramma aziendale, in quanto la transnazionale concede dal 1951 il monopolio della produzione, dell’imbottigliamento e della distribuzione dei propri prodotti alla “Panamco Indega Colombia”, filiale della “Panamerican Beverages–Panamco” di Miami (Florida), di cui proprio la Coca Cola Company possiede il 24% del capitale azionario e conta su due rappresentanti nel consiglio di amministrazione. L’88% del fatturato della Panamco è generato appunto dalla produzione e dalla commercializzazione in tutta l’America Latina dei prodotti del marchio Coca Cola, mentre il resto deriva dalla distribuzione sul mercato sudamericano delle note birre euopee “Kaiser” ed “Heineken”.

Per ciò che riguarda la “Panamco Indega”, essa risulta proprietaria in Colombia di 20 impianti di produzione, 71 centri di distribuzione e oltre 1.500 camion da trasporto. Diecimila i dipendenti della controllata colombiana, a cui la Coca Cola Company, fornisce il supersegreto concentrato-base della bevanda e il completo appoggio nell’implementazione delle strategie di mercato. A capo della “Panamco Indega” una potente cordata di imprenditori del dipartimento di Antioquia (gli industriali Daniel Peláez, Alberto Mejía, José Gutiérrez ed Hernando Duque – gruppo Fontibon), con articolati interessi nel settore alimentare, finanziario e dei mezzi di comunicazione di massa. Presidente della “Panamco Colombia” è Roberto Ortiz, vicepresidente del consiglio di amministrazione della “Panamco”-madre di Miami.

Prova di quanto stiano a cuore alla transnazionale di Atlanta le sorti economiche e politiche del paese sudamericano é il decisivo ruolo di pressione esercitato sulla Confederazione calcio dell’America Latina per realizzare in Colombia la Coppa America 2001, la cui organizzazione era stata sospesa  proprio alla vigilia della data fissata per l’evento sportivo, a seguito della recrudescenza del conflitto interno. La Coca Cola insieme alla “Master Card”, entrambi patrocinatori della Coppa, hanno manifestato il loro ultimatum alla società “Traffic”, proprietaria dei diritti di commercializzazione e trasmissione televisiva del torneo internazionale, perché rispettasse la data e la sede prevista; in caso contrario le due transanazionali avrebbero ritirato il loro patrocinio con perdite per la “Traffic” e la Confederazione calcistica sudamericana per 80 milioni di dollari.

Nonostante le oggettive difficoltà di tipo organizzativo e la diserzione di importanti Paesi (vedi Argentina e Canada), a soli tre giorni dalla data prevista per l’inizio della competizione, la Confederazione ha deciso di disputare l’appuntamento in Colombia. Non si sarebbe potuto fare diversamente: la Coca Cola patrocinia dal 1974 i Campionati Mondiali di calcio e i principali eventi internazionali giovanili della Fifa, mentre dal 1993 la compagnia ha concesso il proprio marchio per la pubblicizzazione della Coppa America.

Lavoro minorile, razzismi e monopoli illegali
Proprio a causa del calcio, la Coca Cola ha subito recentemente un’altra grave caduta d’immagine. Alla vigilia del campionato mondiale Francia ’98, gli attivisti di “Transfair”, l’organismo internazionale che certifica l’origine etica dei prodotti del commercio equo e solidale, hanno documentato lo sfruttamento intensivo di minori nella fabbrica di palloni con marchio Coca Cola a Sialkot (Pakistan). Le foto di alcune bambine di 11 anni che incollavano e cucivano i palloni hanno fatto il giro per il mondo, riprodotte in decine di quotidiani e riviste di rilevanza internazionale.

Negli ultimi due anni la Coca Cola è finita ancora altre volte sotto accusa per violazioni dei diritti sindacali e fatti relativi a gravi discriminazioni razziali. Nel novembre del 1999, un lungo sciopero violentemente represso dalle forze dell’ordine, ha bloccato le attività dell’impianto d’imbottigliamento della “Panamco Brasil” di Jundiai (Brasile), per protestare contro l’ingiustificato licenziamento di 67 lavoratori.

Nella primavera dell’anno successivo, otto dipendenti hanno denunciato a New York il management della Coca Cola Company affermando di essere stati gravemente discriminati sul lavoro, perché neri. Così l’organizzazione statunitense dei lavoratori neri della Coca Cola sono interventuti in occasione dell’assemblea annuale degli azionisti, minacciando di dare il via ad un boicottaggio su scala mondiale della bevanda se non fossero state adottate misure contro la discriminazione razziale esistente negli impianti. Qualche mese fa (aprile 2001), a Cuernavaca (Messico), le truppe antisommossa sono intervenute per reprimere la protesta dei lavoratori della “Cooperativa Pascual”, produttrice di bevande gassate, duramente colpita dalla politica monopolistica della Coca Cola, che impone a distributori e piccoli commercianti contratti di esclusivitá, consentendo l’accesso ai propri prodotti e alla pubblicità solo in caso di assenza di altri marchi.

Per sbarazzarsi di eventuali competitori – come nel caso della “Cooperativa Pacual”, produttrice della popolare bevanda messicana Boingla Coca Cola regala ai rivenditori casse di prodotti, frigoriferi e assicura la formazione in contabilità e gestione impresariale a coloro che si impegnano a vendere esclusivamente le bevande della compagnia di Atlanta. I dipendenti della “Cooperativa Pascual” hanno altresí denunciato che la Coca Cola “è arrivata a distribuire anche denaro per ottenere l’esclusiva”, riferendosi in particolare alla giunta che amministra la città di Cuernavaca, e che avrebbe ricevuto contributi per oltre 600.000 pesos messicani, in cambio della decisione di vietare la presenza di altri produttori di bevande all’interno degli stand dell’importante “Fiera annuale di primavera”. Un caso analogo si è registrato all’interno dell’Università dello Stato di Morelos, in cui è stato firmato un contratto di vendita esclusiva dei prodotti del marchio Coca Cola con una societá in mano a Lino Korrodi, il cervello finanziario della campagna presidenziale di Vicente Fox, quest’ultimo con un passato da manager della transnazionale per l’intero mercato latinoamericano.

E mentre i fatturati e i guadagni del colosso di Atlanta si preannunciano da record per il 2001, la dirigenza della compagnia ha recentemente annunciato il taglio di 6.000 posti di lavoro a livello mondiale, metá dei quali negli Stati Uniti, nell’ambito della ristrutturazione del sistema produttivo decisa dal nuovo presidente Douglas Daft.


La lunga lista delle violazioni denunciate dal sindacato colombiano Sinintral contro i lavoratori della Coca Cola e di altri importanti transnazionali del settore alimentare

Lavoratori assassinati

1986  Héctor Daniel Useche Beron  (Nesté of Colombia)
1989  Luis Alfonso Vélez (Nestlé of Colombia)
1993  Harry Laguna Triana (Cicolac Ltda)
1994  José Eleaser Manco David (Coca Cola)
1994  Luis Enrique Giraldo Arango (Coca Cola)
1995  Luis Enrique Gomez Granada (Coca Cola)
1996  José Manuel Becerra (Cicolac Ltda)
1996  Toribio de la Hoz Escorcia (Cicolac Ltda)
1996  Alejandro Hernandez V. (Cicolac Ltda)
1996  Isidro Segundo Gil Gil (Coca Cola)
1996  José Libardo Herrera Osorio (Coca Cola)


Lavoratori sopravvissuti ad attentati e costretti a rifugiarsi all’estero

1990  Antonio Rico Morales (Nestlé of Colombia)
1995  Víctor Eloy Mieles Ospino (Cicolac Ltda)
1996  Gonzalo Gómez Cervantes (Cicolac Ltda)
1996  Adolfo Cardona Usma (Coca Cola)
1996  Gonazlo Quijano Mendoza (Beta Ltda)
1998  Rafael Carvajal (Coca Cola)


Lavoratori gravemente minacciati e costretti a lasciare il posto di lavoro

1995  Luis Eduardo García (Coca Cola)
1995  Rafael Almenteros (Coca Cola)
1995  Alfonso Mutis (Coca Cola)
1995  Sessanta operai dell’impresa “Granja La Catorce” nella Sierra  Nevada di Santa Marta (Magdalena), di proprietà della società Indunal S.A., del Senatore Fuad Char Abdala.
1996  Oscar Tascón Abadía (Cicolac Ltda)
1996  Tomás Enrique Galindo (Cicolac Ltda)
1996  Alfonso Daza Alfaro (Cicolac Ltda)
1996  Gabriel Serge (Cicolac Ltda)
1996  Martín Emilio Gil Gil (Coca Cola)
1996  Gonzalo Quijano (Beta Ltda)
1998  Luis Javier Correa Súarez (Coca Cola)


Lavoratori arrestati con l’accusa di terrorismo e sovversione, torturati e successivamente liberati perché innocenti
  
1984  Jaime Gómez Díaz (Coca Cola)
1984  Efraín Surmay (Coca Cola)
1984  Rafael Almenteros (Coca Cola)
1984  Heriberto Gutiérrez (Coca Cola)
1984  Julio Alberto Arango (Coca Cola)
1984  Humberto Cortés (Coca Cola)
1995  Luis Javier Correa Súarez (Coca Cola)
1995  Gonzalo Quijano (Beta Ltda)
1996  Luis Eduardo García (Coca Cola)
1996  José Domingo Flórez (Coca Cola)
1996  Sergio A. López (Coca Cola)
1996  Alvaro González (Coca Cola)
1996  Luis Javier Correa (Coca Cola)
1996  Edgar A. Páez (Sinaltrainal)
1996  Gonzalo Quijano (Beta Ltda)
1996  Eduardo Ortega (Beta Ltda)
1996  Alvaro Villafañe (Nestlé of Colombia)
1996  Rafael Moreno (Sinaltrainal)
1996  Alfonso Barón (Cicolac Ltda)
1996  Hernando Seirra (Cicolac Ltda)


Sindacalisti dell’impianto Coca Cola di Carepa (Urabá-Antioquia) costretti a fuggire in altri dipartimenti della Colombia
     
1985  Elías Muñoz
      Bernardo Alcaraz
      Jannio Barrios
      Jaime Cano
      Consuelo Montoya
      Robert Harold López
      Wilson Montoya
      Rodrigo Rueda
      Rubiel Goez
      Jesús Emilio Giraldo
      Humberto Ramirez
1996  Dolahome Tuberquia
      Giovanny Gómez
      Hernán Manco
      Oscar Darío Puerta
      Oscar Alberto Giraldo
      Luis Adolfo Cardona


Ingerenze arbitrarie ed illegali nella vita dei lavoratori e delle rispettive organizzazioni

1995   Raid contro Cooincoproco (Cooperativa dei lavoratori della Coca Cola) da parte delle forze speciali della polizia (Bloque de Búsqueda) di Bucamaranga.

1996  Raid contro Cooincoproco (Cooperativa dei lavoratori della Coca Cola) da parte delle forze speciali della polizia (Bloque de Búsqueda) di Bucamaranga e Cúcuta.

1996  Raid nell’abitazione di Beatriz Ardila Reyes, Segretaria del Sindacato di Bucamaranga.

1996  I lavoratori della Coca Cola di Cúcuta, Alfredo Porras e Jimmy Helberto Fontecha vengono fermati, identificati ed interrogati da appartenenti alla polizia e ad un gruppo paramilitare

1996  Gruppi paramilitari costringono 70 lavoratori della fabbrica della  Coca Cola di Carepa (Urabá Antioqueño) ad abbandonare il sindacato a cui sono iscritti.

1997 Raid contro Cooincoproco e nell’abitazione di Alfredo Porras (Coca Cola), da parte della 5^ Brigata dell’Esercito.

Inchiesta pubblicata in Terrelibere.org l’8 marzo 2002

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