La Nonviolenza oggi in Italia

Paolo Arena e Marco Graziotti intervistano Antonio Mazzeo


1. Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?
La mia formazione nonviolenta è dovuta in parte ad un educatore-professore con cui venni in contatto nei miei anni di liceo, uno straordinario teologo gesuita. Successivamente ebbi modo di approfondire la teoria e la pratica della nonviolenza grazie alla militanza, negli anni dell’installazione dei missili nucleari Cruise a Comiso (Ragusa), nel Comitato messinese per la pace e il disarmo unilaterale in cui erano presenti studiosi e attivisti locali del Movimento Nonviolento.

2. Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per lei, e perché?
Ghandi, innanzitutto, anche per l’importanza storico-sociale a favore dei processi di autodeterminazione dei popoli sottoposti a dominio coloniale. Dal punto di vista prettamente teorico il pensiero e gli scritti di Capitini sono stati tuttavia determinanti. Voglio tuttavia precisare che non mi considero uno studioso-teorico. Il mio confronto con  la violenza nasce più dalla prassi e dall’azione di lotta contro i processi di militarizzazione, le guerre, la difesa del territorio e l’ambiente.
3. Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si
accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

Beh, più che ai singoli testi, proporrei tre grandi pensatori, Mohandas Gandhi, Martin Luther King e Aldo Capitini e magari inviterei alla lettura degli straordinari romanzi di Tolstoi. Se poi andiamo direttamente ai libri, non potrebbe mancare in una biblioteca il capolavoro di Gandhi, “Teoria e pratica della nonviolenza”.

4. Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno?
Credo che le lotte dei popoli indigeni, specie in America latina, per la difesa della Pacha Mama e delle risorse naturali, la selva e l’acqua innanzitutto, siano un esempio concreto, tangibile, della coniugazione teoria-prassi nonviolenta. Meno teorica, sicuramente, ma non-violenta nelle pratiche, la campagna contro la realizzazione della base USA al Dal Molin di Vicenza e contro il Ponte sullo Stretto di Messina, l’Alta Velocità ferroviaria e altre Grandi Opere devastanti in Italia.
5. In quali campi ritiene più necessario ed urgente un impegno nonviolento?La lotta contro le guerre permanenti, la militarizzazione dei territori e la proliferazione di basi di morte e centrali nucleari, il consumo dei territori, la distruzione dell’ambiente e delle risorse naturali, le Grandi opere in Italia per ciò che comportano dal punto di vista socio-economico e ambientale, mi sembrano alcune delle priorità d’intervento nonviolento.

6. Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?
I soggetti e le persone che fanno riferimento alle riviste Azione Nonviolenta e Mosaico di pace e al network di Peacelink, mi sembrano, oggi, coloro che più offrono garanzie di tipo organizzativo ed etico-politico, nonché offrono informazioni, contenuti, analisi e strumenti pedagogici concreti per chi, in Italia, entra o vuole entrare in contatto con la nonviolenza.
7. Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue
caratteristiche fondamentali?
La nonviolenza è una modalità di relazione tra uomini, e uomo-natura-territorio-animali basata sul pieno rispetto delle differenze e nella promozione dell’essere e di tutte le sue specificità. Può anche essere intesa come pratica di lotta per il cambiamento delle relazioni sociali, politiche, economiche, ecc., dove non esistono contraddizioni tra mezzi e fini, dove cioè se si lotta per la giustizia, le pratiche di lotta debbono essere giuste, ecc.  

8. Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?
Nonostante le differenze di fondo, storiche, nella formazione dei collettivi femministi degli anni ’70, e la loro matrice preponderante originata dalle organizzazione extraparlamentare della sinistra, successivamente ci sono state significative contaminazioni reciproche che hanno avuto un’importanza significativa nello sviluppo delle lotte pacifiste e ambientaliste degli anni ’80 e del movimento no war degli ani ’90 e post 11 settembre 2001.

9. Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?
Direi una relazione inscindibile, un’essenza unica che pervade nonviolenza ed ecologia. Il rimettere in discussione la relazione tra gli esseri viventi e tra questi e l’universo naturale in cui si vive non può limitarsi solo in rapporti di contaminazione reciproca uomo-uomo, uomo-società, uomo-territori, uomo-ambiente. Credo che non si possa cioè essere nonviolenti o non-violenti senza essere profondamente ecologisti e/o naturalisti.
10. Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?Un rapporto osmotico direi, nel senso che la promozione di ogni essere umano e il pieno rispetto delle differenze deve essere alla base dell’impegno verso la nonviolenza.

11. Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?
Chi ha a cuore la relazione di equilibrio uomo-uomo e uomo-ambiente non può non comprendere come oggi, alcuni dei soggetti che ha profondamente minato territori e relazioni sociali, sono le organizzazioni criminali di stampo mafioso, locali e transnazionali. Di conseguenza mi pare doveroso l’impegno dei nonviolenti e dei pacifisti contro il dominio mafioso e i grandi traffici di droga, armi, migranti, ecc. da cui queste organizzazioni ottengono i proventi che poi investono militarizzando la società.
12. Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei
lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?
Le relazioni, per ovvie differenze teoriche e storiche, si sono limitate sino ad adesso nella pratica delle azioni di lotta. Credo che però sia il movimento operaio che i nonviolenti abbiano opportunamente socializzato il patrimonio e gli strumenti di difesa dei propri diritti e le modalità d’intervento. Sono innumerevoli le tecniche di lotta che si sono mutuamente trasferite l’uno all’altro. E non è certo causale, che negli ultimi anni, gli scioperi, i cortei e i picchetti dei lavoratori abbiano posto come discriminante la non-violenza e il rifiuto dello scontro fisico con il capitale e le forze dell’ordine, privilegiando il dialogo, la creatività dei linguaggi e forme di lotta di storica derivazione nonviolenta (i digiuni ad esempio di chi è vittima d’ingiustizia padronale, licenziamenti, precarietà ecc.). 
13. Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei
popoli oppressi?
Personalmente, ho sempre rispettato le scelte e le pratiche di lotta dei movimenti di liberazione del cosiddetto Sud del mondo, comprendendone le ragioni che in fasi e percorsi storici hanno condotto alla scelta armata. Lavoro da anni in America latina e il rapporto e il confronto con alcuni dei rappresentanti delle organizzazioni (ex) guerrigliere mi ha portato a credere che i contesti, gli strumenti di repressione militare e le efferate violazioni dei diritti umani sono stati profondamente diversi da quanto accade in Europa. Credo comunque che anche dall’altra parte ci sia molta attenzione e disponibilità a confrontarsi e comprendere le ragioni della pratica nonviolenta. Deve essere effettuato allora uno sforzo di reciproco ascolto, anche perché le ragioni ultime di difesa della dignità umana sono le stesse.

14. Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?
Pure in questo ambito le reciproche contaminazioni sono state determinanti, anche se certamente non in modo completo, come è accaduto relativamente al binomio nonviolenza-ecologia. Purtroppo nell’evoluzione dei movimenti “pacifisti” non sono mancate ambiguità di fondo, e il termine “pace” è forse quello più strumentalizzato nel pianeta, di conseguenza anche quello di “pacifismo” e/o “lotta per la pace”. Senza temere di essere definiti ideologici, però, la pace vera, quella dell’assenza di prevaricazioni, ingiustizie, discriminazioni, differenze, sfruttamento uomo-uomo e uomo-ambiente, è indissolubile con la teoria e la pratica nonviolenta.

15. Quali rapporti vede tra nonviolenza e antimilitarismo?
Anche in quest’ambito vale quanto detto relativamente al punto 13, anche se l’ “antimilitarismo” è una categoria di pensiero certamente più “radicale” e più profondamente “rivoluzionaria” di “pacifismo” e nella sua evoluzione storica ha comportato un’assai minore carica di ambiguità.

16. Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?
Anche il termine “disarmo” reca in sé accezioni storicamente ambigue. Ricordo la polemica, profonda, all’interno dei movimenti contro la guerra degli anni ’80, su “disarmo unilaterale” e “disarmo bilanciato e controllato”. Nel primo caso le relazioni e le contaminazione con la nonviolenza sono profonde. Nel secondo caso il solco è abissale e, temo, insuperabile.

17. Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?
Una relazione anch’essa inscindibile, direi fisiologica. Le politiche neoliberiste tendenti alla cancellazione dello stato sociale, del welfare e che si accaniscono straordinariamente con le categorie deboli, privatizzando il sistema sanitario ed assistenziale negando lo steso diritto alla vita, sono pratiche profondamente violente che generano e favoriscono ulteriori inaudite violenze.
18. Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?Non sono assolutamente favorevolmente attratto dalle “psicoterapie”. La storia passata e recente, la stessa definizione di “infermità psicologica” mi portano in mente pratiche disumane, profondamente violente. Non mi piacciono, a pelle, neanche certe relazioni di profonda dipendenza che legano paziente a psicoterapeuta. La libertà profonda, è essenza stessa della nonviolenza, e la psicoterapia non mi pare affronti sempre e seriamente la promozione dell’autodeterminazione.

19. Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?
Nel tristissimo panorama editoriale italiano e internazionale, purtroppo, quasi nessuna. L’informazione è strumento ormai di monopoli che fanno riferimento a gruppi sociali e finanziari che perpetuano la violenza nel pianeta e il controllo ideologico delle coscienze. Non ricordo, onestamente, di aver mai letto un serio approfondimento sulla nonviolenza e sui suoi straordinari pensatori nei principali organi di stampa e i linguaggi dei mass media sono una pervasiva esaltazione degli strumenti della violenza. Sì, proprio un panorama profondamente inquietante.

20. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?
Il ruolo dei teorici della nonviolenza è stato sicuramente fondamentale nello sviluppo del pensiero filosofico antico e moderno. Anche in questo campo però, credo esista una certa sottovalutazione in ambito accademico, nazionale ed internazionale.

21. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?
La nonviolenza e il pensiero dei ricercatori e studiosi nonviolenti credo che abbia contribuito a una positiva rivisitazione del Vangelo, purgandolo da molte sovrastrutture ed incrostature che la Chiesa ufficiale ha creato nella sua storia per giustificare “guerre sante”, crociate  e l’uso sistematico della forza e della violenza. Un’importanza che congiuntamente alla cosiddetta Teologia della Liberazione ha contribuito a dar forza a importanti movimenti di rinnovamento democratico e sociale nel mondo cattolico e cristiano in generale.

22. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?
L’apporto è stato di tipo contenutistico, pedagogico e metodologico. Penso in particolare al contributo specifico di don Milani, ormai universalmente ritenuto fondamentale per innovare in particolare la scuola dell’obbligo italiana a metà-fine anni ‘60. 

23. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia?
Il principio di porre l’uomo e le sue relazioni con il territorio e l’ambiente al centro di qualsivoglia programma di “sviluppo” economico e non certo l’accumulazione del capitale e il profitto. Credo che la nonviolenza abbia avuto un peso rilevante per l’elaborazione del pensiero della cosiddetta “altra-economia”, del commercio equo e sostenibile, della “decrescita”, ecc.
Più che direttamente sulla scienza e sulla tecnologia io parlerei di un’influenza fondamentale nella modalità di condurre la ricerca scientifica (rispetto dell’etica e rifiuto di sperimentazioni nocive per l’uomo, gli animali e l’ambiente) e sulle finalità stesse della ricerca, con una presa di coscienza da parte degli scienziati dell’assoluta “non neutralità” della ricerca e della scienza (vedi le tesi giustificazioniste sul nucleare, ad esempio).

24. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?Che se le leggi e il diritto sono in contrasto, o peggio, violano i diritti fondamentali della persona, esiste il diritto-dovere morale di violare queste leggi attraverso la disobbedienza civile, l’obiezione di coscienza e altre tecniche di lotta non-violenta. 

25. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?
La relazione nonviolenza-etica-bioetica è inscindibile, proprio per i contenuti e le finalità del pensiero nonviolento, dove è la vita, la sua salvaguardia e la sua promozione al centro dell’elaborazione teorica.

26. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?  

27. Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla
pratica storiografica?
Sono un po’ pessimista in questo senso, anche perché sono stati rarissimi i casi di studiosi che abbiano fatto una seria riflessione sull’importanza della teoria e delle azioni nonviolente nei processi di trasformazione storico-sociale. Penso in  particolare alla scarsa rilevanza che le strutture accademiche hanno dato alle ricerche sulle forme di lotta nonviolenta nel nord Europa all’occupazione nazista durante la Seconda Guerra mondiale, o alla resistenza operaia nel nord-ovest o quella contadina nel sud Italia durante la straordinaria fase della resistenza e del post-Guerra. C’è ancora tantissimo da fare per affermare il diritto di cittadinanza nelle università e nella ricerca storica della nonviolenza.   

28. Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?
Il consenso come compartecipazione democratica e ugualitaria all’assunzione di decisioni e alla determinazione delle scelte, piccole e grandi, nella vita collettiva.
29. Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e
risoluzione dei conflitti quali ritiene più importanti, e perché?
Penso in buona parte alle tecniche d’intervento basate proprio sulla ricerca del consenso, sperimentate per la prima volta in Italia a Comiso nel 1983 alla vigilia delle iniziative di azione diretta nonviolenta e blocco dei cancelli della base che avrebbe poi ospitato gli ordigni di morte Cruise. Su questo, in Italia, c’è una buona letteratura e mi sento di invitare alla lettura dei lavori di sistematizzazione realizzati da esperti come Alberto L’Abate ed Enrico Euli, ad esempio.

30. Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?
Penso più che all’organizzazione di cicli seminariali, corsi, ecc. ad un cambio strutturale del sistema educativo-scolastico e universitario nazionale, una trasformazione realmente democratica e partecipata delle finalità primarie dell’istruzione e dei suoi programmi. È altresì doverosa una trasformazione in senso democratico ed anti-autoritario delle istituzioni proposte alla formazione ed educazione.

31. Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?
Anche in questo senso, vedrei un superamento di quanto sino ad oggi sperimentato, cioè un addestramento strettamente legato a contingenze, iniziative di lotta, resistenza, campagne di mobilitazione, ma invece profondamente inserito nei grandi processi educativi e formativi.

32. Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
Li menzionavo in una delle precedenti risposte. Penso particolarmente ad Azione Nonviolenta e Mosaico di pace e alla rete telematica di Peacelink.

33. Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
Onestamente non sono a conoscenza di interventi “strutturali” in ambito scolastico e universitario per lo sviluppo della conoscenza e promozione della nonviolenza. Conosco solo l’impegno teorico, pedagogico e di ricerca di alcuni docenti ed insegnanti, vere e proprie mosche bianche nel sempre più autoritario sistema educativo nazionale.
34. I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente
un'impressione di marginalità, ininfluenza, inadeguatezza; è così? E perché accade? E come potrebbero migliorare la qualità, la percezione e l'efficacia della loro azione?
Più che di “marginalità” e/o “ininfluenza”, ecc. parlerei di scarsa presenza numerica e quasi inesistente visibilità sia per propria responsabilità che per la voluta disattenzione mediatica. Credo che molto sia stato dovuto alla incapacità di reperimento di risorse sufficienti alla sensibilizzazione, formazione, ecc, sia per un certo atteggiamento elitario di una parte degli attivisti “nonviolenti”. Anche un modo troppo dogmatico di affrontare la relazione nonviolenza-azione politica sociale ha influito negativamente nel ridurre la forza propositiva e la presenza nonviolenta in Italia. 

35. I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se sì, come?
Sì, anche lo scorso coordinamento reciproco, la costruzione di solide compagne di azione, ecc. è una delle cause della scarsa visibilità nonviolenta in Italia. Si potrebbe partire dall’uso delle nuove piattaforme tecnologiche, internet, blog, ecc. che assicurano relazioni orizzontali e democratiche e agiscono positivamente come Reti e moltiplicatori.

36. I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche?
Beh, in fondo la risposta è quella del punto 35. Personalmente punterei molto di più alla condivisione di siti, pagine web, blog, e altri strumenti telematici.

37. Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?
I rapporti tra nonviolenza e movimenti ambientalisti o in lotta per la pace, la difesa dei beni comuni e del patrimonio naturale mi sembrano intrinseci, fisiologici. Più dialettici e talvolta conflittuali i rapporti con i movimenti che intervengono in difesa del diritto al lavoro, all’occupazione, contro le marginalità socio-economici, anche perché questi ultimi hanno quasi sempre origini politiche-culturali differenti e perfino antitetici alla teoria e prassi nonviolenta.
38. Nonviolenza e istituzioni: quali rapporti?Dipende dalla tipologia delle istituzioni. Relazioni diffuse d’interscambio possono certamente essere sviluppate in ambito locale e territoriale (comuni, province, comprensori) anche in difesa del bene comune, della pubblicità dei servizi, ecc. Allo stato odierno mi sembrano invece impraticabili con le istituzionali statali, sempre più autoritarie e anti-popolari, con le forze armate (sempre più professionali e proiettate a 360 gradi negli scacchieri di guerra internazionali), le forze di polizia di cui è stato bloccato il processo di democratizzazione interna.

39. Nonviolenza e cultura: quali rapporti?
Di fronte alla degenerazione della cultura e degli attori di promozione culturale in Italia va promossa una campagna di rinnovamento dei contenuti, che apra nuovamente la cultura alle classi sociali più svantaggiate, dove sia ancora la promozione dell’uomo e della democrazia sociale sostanziale il fine principale dell’impegno culturale e non certo il profitto o il rafforzamento del sistema dominante.

40. Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?
Anche in questo caso la scelta non può essere neutra. Ci sono forze politiche che nei loro programmi e nelle loro pratiche sono schierate su fronti diametricalmente opposti alla nonviolenza (penso in particolare alle forze di destra e centro-destra). Lo stesso discorso vale per quelle forze che pur dichiarandosi ispirate da ideologie cristiane o “radicali” nei fatti puntano solo a perpetuare il controllo del potere, o peggio, dialogano con i rappresentanti della borghesia mafiosa e delle organizzazioni criminali. Con queste forze politiche i nonviolenti possono solo relazionarsi con l’azione diretta e la resistenza civile, non certo con il dialogo.

41. Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?
I contatti e le contaminazioni storici più importanti sono avvenuti nella diffusione di forme non-violenta di lotta e difesa dei diritti dei lavoratori (scioperi, boicottaggi della produzione, occupazione delle fabbriche e autogestione, ecc.
42. Nonviolenza e pratiche artistiche: quali rapporti?Numerosi sono stati gli scrittori, i poeti, gli artisti che hanno promosso il pensiero e l’azione nonviolento, ma credo anche che una relazione esista o perlomeno dovrebbe esistere nella realizzazione di opere (teatrali, cinematografiche, artistiche, ecc.), dove sia rifiutato un messaggio di sopraffazione e violenza, ma che anzi facciano da stimolo per l’affermazione dei valori di pace, tolleranza, giustizia. 

43. Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente
nella sua esperienza essa si è data?
E’ nella pratica di tutti i giorni, con le persone più care, che è possibile sperimentare la nonviolenza e le forme con cui essa si esprime (tolleranza, dialogo, confronto, condivisione, compartecipazione, rispetto, ecc.).

44. Nonviolenza e politica: quale relazione?
La nonviolenza come valore politico, come Utopia di trasformazione della società, come testimonianza etica e ideale, come modalità di organizzazione e pratica di lotta politica.

45. Nonviolenza e vita quotidiana: quale relazione?
Credo ci si possa riferire ala conduzione di uno stile di vita, quotidiano, il più possibile coerente con le scelte e gli obiettivi nonviolenti con cui hai costruito la tua identità.

46. Nonviolenza e cura del territorio in cui si vive: quale relazione?
La difesa dell’ambiente e del territorio dai consumi onnivori e dall’intervento distruttivo deve essere la prima spinta per l’azione e la pratica nonviolenta, una testimonianza concreta del legame inscindibile uomo-ambiente. 

47. Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?
Penso al diritto-dovere a cure che pongano al centro dell’intervento la difesa della dignità, contro ogni inutile e doloroso accanimento terapeutico, speso il frutto di concezioni sanitarie più interessate ai profitti delle transnazionali farmaceutiche che alla salute e alla promozione della vita umana.

48. La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?
Complicato, specie per chi non ha mai elaborato una relazione chiara, ferma, precisa con la morte. Mi viene in mente solo il desiderio di morire senza sofferenze, senza perdite di dignità come avviene con la morte dopo una lunga malattia. Ma ciò non dipende da noi, purtroppo.

49. Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?
Senza perdersi troppo nei secoli (penso in particolare all’Indipendenza degli Stati Uniti d’America dall’Inghilterra), le esperienze di resistenza popolare di alcuni paesi del nord Europa all’avanzata e all’occupazione nazista e le lotte nonviolente per l’indipendenza e la decolonizzazione in numerosi paesi di Africa e Asia. Emblematica poi la lotta per i diritti civili e l’uguaglianza della popolazione afro-discendente negli Stati Uniti, o la resistenza anti-apartheid in Sud Africa. Ci sono stai poi i coraggiosi movimenti di denuncia e resistenza alle sanguinose dittature in America latina, penso in particolare alle Madri de Plaza de Mayo in Argentina e alle numerose associazioni per i diritti umani in Uruguay, Cile, Brasile.

50. Quale è lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?
Purtroppo mi pare che il pensiero e l’impegno nonviolento sia fortemente minoritario, del tutto eclissato dai media e relegato appena alla testimonianza di singoli pensatori, attivisti e qualche piccolo gruppo organizzato. Credo che soprattutto dopo la prima Guerra del Golfo si sia sviluppata una controffensiva dei signori della guerra e del pensiero unico della violenza.

51. Quale è lo stato della nonviolenza oggi in Italia?
Beh, l’Italia rispecchia la tendenza mondiale, purtroppo. Anche da noi solo testimonianze minoritarie e impossibilità di porre la nonviolenza al centro della riflessione collettiva.
52. E' adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e
movimenti di altri paesi? E come migliorarlo?
Non credo proprio, specie per ciò che riguarda le relazioni con le organizzazioni sociali (in buona parte indigene) che stanno portando avanti forme di lotta nonviolenta per una società nonviolenta e più giusta (il “Buen vivir” in America latina, ad esempio). Per migliorare queste relazioni, è innanzitutto necessaria una sprovincializzazione dei movimenti e dei soggetti locali e nazionali e una maggiore attenzione-visitazione dei legittimi e indispensabili compagni di questo lungo viaggio verso l’Utopia.
53. Quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?Il black-out voluto dei media, la fragilità della soggettività nonviolenta credo impediscano la visibilità collettiva e dunque la percezione “altra” sulla nonviolenza e i nonviolenti.

54. Quali iniziative intraprendere perché vi sia da parte
dell'opinione pubblica una percezione corretta e una conoscenza
adeguata della nonviolenza?
Bisogna promuovere in tutti i modi dialoghi, campagne, iniziative, confronti, dibattiti, utilizzando i pochi mezzi che ci sono rimasti a disposizione (internet, ad esempio), ma più che privilegiare la riflessione teorica, io punterei maggiormente a intervenire direttamente nelle pratiche di lotta e nei conflitti (tantissimi) esistenti nel Paese (militarizzazione, occupazione, smantellamento diritti sociali, ecc.).

55. Nonviolenza e intercultura: quale relazione?
Nel pieno rispetto e promozione dei valori culturali dell’ “altro”, nella valorizzazione delle espressioni “altre”, del “diverso”, del “differente”.

56. Nonviolenza e conoscenza di sé: quale relazione?
Forse nell’accettazione dei propri limiti, delle proprie debolezze, delle proprie incapacità, ma con la voglia, sincera, di superarli.
57. Nonviolenza e linguaggio (ed anche: nonviolenza e semiotica):
quale relazione?
Puntare a rendere vivo e collettivo un linguaggio nonviolento, antisessista, antirazzista, antidiscriminatorio, aggressivo-militare, violento.

58. Nonviolenza e stili di vita: quale relazione?
L’impegno a che non ci siano contraddizioni tra l’aspirazione ad una società giusta e nonviolenta e il proprio stile di vita, nelle pratiche e relazioni quotidiane, nei consumi, ecc.

59. Nonviolenza e critica dell'industrialismo: quali implicazioni e conseguenze?
Il porre costantemente la questione di cosa, come e per chi produrre, cioè dove la produzione sia finalizzata alla promozione dell’uomo e dell’equilibrio uomo-natura, nel rispetto di tutti gli esseri viventi e dei diritti umani e sociali, senza impatti irrimediabili sull’ambiente e il territorio, ecc.  
60. Nonviolenza e rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre
terra": quali implicazioni e conseguenze?
Che la nonviolenza si esprime solo nell’equilibrio tra gli esseri viventi e nel pieno rispetto delle risorse e il loro uso equo e sostenibile.

61. Nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie: quali implicazioni e conseguenze?
L’affermazione di un processo di vita coerente, dove si riducano progressivamente le contraddizioni tra valori ideali e comportamenti, atteggiamenti, pratiche quotidiane.

62. Nonviolenza, riconoscimento dell'altro, principio responsabilità, scelte di giustizia, misericordia: quali implicazioni e conseguenze?
La conseguenza di un impegno a difesa della tolleranza e della differenza e di lotta per eliminare le divisioni e le ingiustizie socio-economiche.

63. Nonviolenza e coscienza del limite: quali implicazioni e conseguenze?
Un nonviolento deve riconoscere il limite della natura e della sostenibilità ambientale, delle risorse e dei processi sociali e storici.

64. Nonviolenza come cammino: in quale direzione?
In direzione della promozione dell’uomo e della pace universale, della difesa della vita e dell’ambiente, dell’affermazione della giustizia economica e sociale, dell’uguaglianza sostanziale, di “un altro mondo possibile”, dell’equità della giustizia e delle pratiche e finalità dell’economia, ecc.
65. Nonviolenza e internet: quale relazione? e quali possibilità?Si tratta di un mezzo che può ampliare le forme di conoscenza e di relazione e che dunque può contribuire a socializzare i valori della nonviolenza. Tuttavia sono forti le pressioni per un suo controllo esclusivo da parte del potere e la sua trasformazione in ulteriore mezzo di controllo sociale. Per questo i nonviolenti devono impegnarsi per la difesa e la libertà della rete.

66. Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici,
esperienze significative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?
Antonio Mazzeo, nato a Messina, insegnante di scuola media impegnato nella cooperazione internazionale. Svolgo volontariamente l’attività di peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. Sono stato tra i fondatori e poi coordinatore del Comitato per la pace e il disarmo unilaterale di Messina, attivo nella lotta contro i missili Cruise a Comiso e la militarizzazione della Sicilia. Ho scritto alcuni saggi sui conflitti nell’area mediterranea, sulla violazione dei diritti umani e il conflitto in Colombia e più recentemente un volume sugli interessi criminali transnazionali e locali per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina (“I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina”, Edizioni Alegre, Roma).

Paolo Arena e Marco Graziotti fanno parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

L'intervista è stata pubblicata su Telegrammi della Nonviolenza in cammino, n. 322 del 23 settembre 2010 . Centro di ricerca della pace di Viterbo

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